Quando arriverà la primavera
“Nächster Halt Hauptbahnhof. Umsteigen möglichkeit zu U-Bahn Linien. Bitte rechts aussteigen”
Benché attutita dalla musica dei REM che stava ascoltando in cuffia, la voce proveniente dall’altoparlante della metro che annunciava la prossima fermata giunse alle orecchie di Jürgen ancora con un discreto volume, tanto da farlo ridestare dal suo breve pisolino.
Aprendo a fatica gli occhi e guardandosi intorno, l’uomo scorse sul sedile davanti al suo la faccia rubiconda e familiare di Markus, il suo collega di lavoro, salito due fermate dopo di lui e intento a sgranocchiare una piccola barretta di cioccolato.
“Grüß Gott, finalmente ti sei svegliato. Un giorno o l’altro, parola mia, finirai a Neuperlach e quel giorno, amico, sappi che mi farò un mare di risate”
“Smettila Markus, non ti ci mettere anche tu. Sai bene che il movimento del treno mi concilia il sonno e poi non è vero che dormivo, avevo semplicemente gli occhi socchiusi ma ero attento e vigile”
“Si, proprio vigile. Talmente vigile che non ti sei manco accorto della sventola bionda che avevi seduta a fianco fino a due minuti fa. Brutto segno amico, sei proprio invecchiato. Oh, non mi ha tolto gli occhi di dosso un attimo, non so proprio cosa gli faccio alle donne, mi stava mangiando con gli occhi”
“Ehi latin lover” disse Jürgen alzandosi in piedi “secondo me, non gli facevi gola tu ma quella nocciolina ricoperta di cioccolato che hai ancora appiccicata all’angolo della bocca” e così dicendo raccolse tra pollice e indice la briciola lanciandola verso il viso di Markus.
Il mercato di Maria
“Stamattina l’inverno fa proprio sul serio” pensava tra se Maria mentre, uscendo dal portone della palazzina al numero 6 di Klenzerstrasse dove abitava, si avviava al lavoro. Per tutto il giorno precedente la neve non aveva mai smesso di scendere su Monaco seguita, quando le luci della sera erano calate ormai da qualche ora, da un vento gelido proveniente dal nord che non faceva altro che aumentare la sensazione di freddo.
Nonostante il tempestivo lavoro degli addetti del comune, i marciapiedi e parte delle strade erano ancora ingombri di neve quando la città, il mattino seguente, si era risvegliata per iniziare una nuova giornata.
Arrivata alla soglia dei sessant’anni, Maria era ancora una bella donna, di una bellezza discreta, non appariscente, ma capace di attirare anche adesso gli sguardi di molti uomini. Di corporatura robusta, non molto alta e con capelli corvini che amava tenere quasi sempre legati con piccoli elastici e fermagli, Maria aveva due occhi verde smeraldo con folte sopracciglia ben disegnate e labbra vermiglie e carnose che avevano fatto breccia in più di un cuore in gioventù. Il passare degli anni e la comparsa dei primi capelli grigi e delle prime rughe intorno agli occhi non aveva tolto nulla al fascino tutto mediterraneo della donna e non costituiva per lei un problema, abituata da sempre a dar poca importanza all’aspetto fisico di un individuo, in modo particolare al suo.
La libertà di Stephan
L’inverno era stato particolarmente rigido – non che fosse una cosa insolita da queste parti – e la neve, caduta copiosa, aveva regalato ai monacensi un natale imbiancato come quelli che si vedono nei film. Ora, però, aprile stava offrendo un magnifico inizio di primavera e, chi poteva, non perdeva occasione per godersi lo spettacolo della natura che si risvegliava, scegliendo per le proprie giornate all’aria aperta uno dei tanti parchi pubblici della capitale bavarese.In primavera Monaco era ancora più bella e affascinante che mai; il cielo terso e il sole splendente regalavano a turisti e residenti l’immagine di una città meravigliosa, una città che si andava lentamente ridestando dopo il lungo “letargo” invernale. Le torri della Frauenkirche svettavano più alte che mai e, visibili già a diversi chilometri di distanza, annunciavano l’approssimarsi della città a quanti giungevano da fuori.
Un giorno a settembre
…“Cosa cambiò per noi ebrei, nonno?”.
“Tutto mia cara. Cambiò la nostra vita, anche se ancora non immaginavamo che quello fosse solo l’inizio dell’abisso. Qualcuno cominciò a far girare la voce che quella miseria era colpa nostra, che eravamo stati noi a far perdere la guerra alla Germania e che eravamo sempre noi che ora stavamo affamando il popolo. Erano ancora in pochi a dirlo apertamente ma erano molti quelli che cominciavano a crederci. Andavamo in giro per strada e incrociavamo sguardi torvi, sentivamo i primi commenti – Eccoli i nostri strozzini, ecco quelli che ci hanno pugnalato alle spalle facendoci perdere la guerra. Noi viviamo in miseria mentre loro si arricchiscono alle nostre spalle.
“Erano questi i discorsi che cominciavano a prender piede e credimi, la storia della pugnalata alle spalle, la famosa Dolchstosslegende, era quella che, personalmente, mi faceva più male. Mio padre era stato in guerra, aveva combattuto per la Germania e sapere che c’era chi accusava lui e centinaia, migliaia di altri ebrei di aver causato la sconfitta della nazione era una delle cose più avvilenti che si potessero ascoltare”.
“Ma non c’era nessuno che vi difendesse? qualcuno che facesse capire l’assurdità di queste accuse?”.
“Cosa vuoi Miki, di mezzo c’era la politica. All’inizio qualcuno provò a contestare queste affermazioni poi, visto che nonostante tutto avevano comunque un buon seguito tra la gente, in tanti pensarono che non valesse la pena rischiare di perdere centinaia di migliaia di voti per difendere poche migliaia di ebrei. Succede quasi sempre così: la verità si sacrifica sull’altare dei calcoli politici e in quel momento storico noi ebrei eravamo, diciamo così, sacrificabili!”.
Una nuova vita
…”Cosa dovrei dire? ho già detto tutto, mi sembra. Io e Johannes ci trasferiamo a vivere a Starnberg e i motivi mi sembrano chiari. Lui ha espresso la volontà, adesso che ha terminato gli studi, di mettere in pratica quello che ha imparato e tu sai – disse fissando negli occhi la figlia – che tuo fratello ha studiato agraria, non giurisprudenza onde per cui, mi sembra lapalissiano, che mettere in pratica quello che conosce vuol dire avere a che fare con vacche puzzolenti e rape da piantare, come del resto ha espresso molto correttamente poc’anzi tua madre, con la sua proverbiale schiettezza. Io, da parte mia, ritengo doveroso, oltre che giusto, dargli una mano, sia economicamente che materialmente, così come tua madre – e qui lo sguardo si posò su Sabine – e io abbiamo fatto e ancora stiamo facendo con te. Penso che il dovere di ogni genitore sia quello di aiutare in ugual misura tutti i figli, indipendentemente dalle possibili divergenze su quelle che sono le aspirazioni professionali e di vita.
Sai Karolina, quando ero giovane la mia più grande aspirazione era quella di diventare pilota di aerei. Purtroppo i miei problemi di vista mi hanno precluso la possibilità di seguire questa strada per cui, quando è nato Johannes ho pensato subito che lui potesse riuscire a realizzare quel sogno che era stato mio. Ora, Johannes non è, e non sarà mai un pilota d’aereo, sarà al massimo un contadino o un imprenditore agricolo ma credi che per questo il mio amore per lui sia diminuito? No, il mio amore per lui, così come per te, è enorme e sempre lo sarà perché essere genitore non vuol dire fare dei nostri figli delle copie esatte di noi stessi, ne spingerli a diventare quello che noi avremmo voluto essere. Essere genitore significa anche, e soprattutto, accettare le diversità dei nostri figli come un valore aggiunto, una risorsa e aiutarli e supportarli nella realizzazione dei loro desideri, che quasi mai coincidono con i nostri, ma che, non per questo, devono essere un ostacolo nella vita di tutti noi. Tu diventerai un bravissimo avvocato, ne sono certo e tuo fratello un ottimo agricoltore: tutti e due avete diritto di vivere la vostra vita mentre noi genitori abbiamo il dovere di starvi vicino nel miglior modo possibile.
Ora tuo fratello ha bisogno di tutti noi e del nostro aiuto per intraprendere il cammino che ha in mente; io lo aiuterò a modo mio, chiedo soltanto a te e alla mamma di aiutarci entrambi in questa avventura senza farci pesare questa scelta oltre il lecito.
Le parole del padre avevano sciolto il “ghiaccio” che sembrava risiedere sempre nel cuore della giovane che ora, appoggiata la testa alla spalla del genitore, piangeva a dirotto come non faceva più da quando era bambina.